Vivere, cos’è questo?
Lotto di tanto in tanto per non lasciare che la mia
vita venga ad impantanarsi nella palude del cinismo. Voglio che la mia risata
sia spontanea, e le mie lacrime, oneste. Sia la mia gioia e angoscia, non finte.
Contemplo la mia vita e devo ammettere: spesso, essa sembra
un teatro tragico. Vedo i miei compagni come dei non protagonisti di un cast che
si sforza per dare continuità ad uno spettacolo senza un lieto fine. Credo che
pochi se ne rendano conto: la trama è piena di sofferenza. Sento dire: “non
basta sopravvivere, dobbiamo vivere.” Anche nel timore che la frase non passi
di cliché scontato, devo ammettere: tutti cercano di dare un senso ai pochi
anni che passano qui.
Oso imbastire alcuni sentimenti per riferirmi alla
vita. Aiuteranno, chi lo sa, dei
saltimbanchi come me, nell’arduo compito di presentarsi sul palco esistenziale.
Vivere è lo sforzo costante di immagazzinare, in una
casella dell'anima, momenti che ci hanno segnato. Voglio ricolorare fotografie
ingiallite o perse. Alcuni si rendono conto, in ritardo, che esistere non è altro
che questo: collezionare nostalgie. Vivere è sapere annullare, per la buona
memoria, il flusso spietato della clessidra che copre in silenzio tutto e tutti
di polvere. Per vivere è necessario imparare a tenere il presente fuggitivo. Il passato se
n’è andato ed ne restano solo dei barlumi. Il futuro sarà sempre incerto.
L'unico bene che ho è il momento. Ho bisogno di valorizzare il presente – siccome
si sbriciola tra i secondi. Ripeto Carpe
Diem come modo di affermare: il mio adesso
è sacro.
Vivere è percepire negli spiragli di narrazioni storiche
– tra cui quelle bibliche- l'essenza che ci distingue dagli animali. Tutti, ma
proprio tutti, hanno bisogno di diventare minatori o cacciatori di se stessi.
In questo mandato, imparo il cammino della mia umanizzazione. Svelo la mia propria
umanità senza sentirmi obbligato a compiere l’esigenza di divinizzare me. Credo
che nessuno abbia bisogno di diventare ciò che non si può.
Vivere è svegliarsi come se albeggiasse per una
risurrezione. Io mi reinvento, anche con passi incerti, ogni volta che affronto
il futuro come una pista da esplorare per la prima volta. Devo ricrearmi senza
l'indifferenza degli stoici e senza l'arroganza degli auto-sufficienti. Di
fronte a circostanze che non sempre si mostrano giuste o logiche, non ho
bisogno di mostrare il coraggio degli eroi greci. Mi rifiuto l’immediatezza
della massima: mangiamo e beviamo perché
domani moriremo.
Vivere è riconoscere l'inutilità di desiderare lo status
di Dio. Credo che il male si sia universalizzato perché, scontenti di una vita
semplice, uomini e donne invidiarono la fortuna degli dei. Nonostante le povere
ali, tutti i giorni nuovi Icari battono le ali verso il sole; si rendono conto
appena che la cera che unisce le piume si scioglie e loro cadranno miseramente.
Vivere è difendermi da me stesso nel giorno della
delusione. In poco tempo il mio orologio esistenziale annuncerà il mio ultimo
crepuscolo. Ho bisogno di tenere in mente che la morte miete grandi e piccoli
senza rispettare progetti di conquista di potere, gloria e ricchezza. Lo so,
vivono la verità quelli che si svegliano dalla fantasia di diventare padroni
del mondo. Quanti si sono arresi in vita, non appena hanno visto passare gli slanci
giovanili. Anche i Narcisi invecchiano. La vita si impone, crudamente, a tutti.
Immagino il dolore di chi non ha avuto nemmeno il tempo di concludere che ha
combattuto in trincea sbagliata. Ho l’aspirazione di mantenere semplici tracce
del mio coraggio davanti allo sproposito di puntare su bandiere messianiche.
Vivere è scoprire che la vita è fragile. Anche se il
corpo è in grado di sopportare, lo spirito non può rimanere in uno stato di
costante irrequietezza. Non vincerò il mondo se lascio alle spalle la mia
anima. Il mio imperativo è quello di combattere per non permettere che l'attivismo mi addenti.
Voglio accettare la richiesta dello specchio pregandomi: stop! Ascolta il cuore
a chiedere calma. Leggi poesie. Accogli affetti. Fai spazio per i rapporti.
Svegliati per il prossimo.
Vivere è navigare su una barca con delle vele sudicie
per essere partita tante volte da rifugi sicuri. Voglio, da lontano,
contemplare la terra ferma, e ricordare: io non sono nato per gli ormeggi. Le
dune bianche subiscono le frustate del vento e anche le rocce si arrendono alle
maree. Ogni fermezza è instabile. Vivo, se ammetto che nessuna scelta offre
garanzia di un futuro incrollabile. Le mie decisioni si ramificano in un
groviglio di conseguenze imprevedibili. Nessun credo, religione o ideologia
offre ancoraggio sicuro o terreno solido che garantisca un'esistenza senza
contrattempi. Nel mare della mia storia, ammetto: nessun eroe ha gestito gli
infiniti sviluppi delle sue scelte - o delle decisioni altrui. La mia più
grande sfida per navigare nell'oceano della vita sarà sempre quella di sfuggire
alla tentazione di evitare rischi. Devo riconoscere che sia le contingenze che l’imponderabile rendono
la vita affascinante.
Vivere è negare le futilità che si impongono e
stupefanno. Ne ho già sprecati tanti di giorni a correre alla ricerca di accettazione
o unanimità. I grandi conquistatori hanno ricevuto corone e pagato un prezzo
alto per il trionfo. La dea della competenza richiede che si immoli il cuore su
un piatto d'argento.
Vivere è osare di andare alla periferia di se stessi.
Voglio disoccupare la piazza che ho costruito e consideravo il centro
dell'universo. Voglio farmi vicino agli esuli. Ho bisogno di imparare di nuovo
a piangere davanti al disastro colossale che l’umanità mi ha trasformato.
Intuirò il divino se comprenderò la vocazione di concepire il mondo come una
sfera più ampia del mio progetto individuale. Devo resignificare ogni evento
all'interno del progetto più ampio, la famiglia umana.
Per volte ho dichiarato la necessità di preparare le
persone per quello che viene dopo la morte. Noto, tuttavia, che Gesù di
Nazareth si interessò a insegnare come vivere qui, su questa terra. Se
riconosco che il mio più grande anelito eccede la mera sopravvivenza, devo
accettare che questo dovrebbe essere, altrettanto, l’ansia dei miei fratelli e
sorelle.
Soli Deo Gloria
Ricardo Gondim
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